La Banda del Book si è riunita online il 24 febbraio 2022 per commentare Un indovino mi disse di Tiziano Terzani e Rosso come una sposa di Anilda Ibrahimi.
Anche in questa occasione abbiamo optato per l’invio del contributo via email e quel che segue è il report condiviso.
Un indovino mi disse di Tiziano Terzani
Commento del Bandito Panettone:
Un viaggio attraverso l’Asia, senza mai prendere aerei, è questo ciò che decide di fare Terzani per un anno, ricordandosi di una vecchia profezia fattagli da un indovino.
L’autore si trova ad osservare paesi e persone della sua amata Asia da una prospettiva diversa, via terra e via mare, spesso ignorata. Il risultato è un libro non ordinario che è insieme avventura, biografia, viaggio e reportage.
Riletto con piacere, a distanza di anni, il testo mi ha suscitato ancora emozioni e si è confermato avvincente come un romanzo, ma nello stesso tempo pieno di particolari come è un racconto di viaggio.
Non mancano le critiche alla sua Asia, a come si stia globalizzando e occidentalizzando.
Indubbiamente un ottimo libro, unico per i temi su cui si basa, forse un po’ ripetitivo negli incontri con i vari “indovini”. Lettura interessante, permette di viaggiare con la mente, non soltanto nello spazio, ma anche indietro nel tempo.
Commento della Bandita Teacher:
Sebbene non creda che il progetto di Terzani fosse quello di scrivere un libro di viaggio, io l’ho letto innanzi tutto come tale. Mi ha affascinato tutto quello che ha raccontato dei paesi in cui è stato, ho cercato e seguito sulla cartina ogni città, ogni stato, ogni confine che ha attraversato. Chiunque ami viaggiare, entrare in contatto con l’anima più profonda dei luoghi e non semplicemente fare il turista non può che invidiare il viaggiare come lui lo ha fatto: niente aereo, solo treni, autobus e, se necessario, anche a piedi, nel pieno spirito di libertà, assaporando al massimo la parte più bella e stimolante del viaggio, che è il viaggio stesso più della meta.
Questo si rispecchia anche nella sua ricerca incessante, a tratti ossessiva, di indovini, astrologi e stregoni: era quello che lo interessava, sicuramente più della predizione stessa, in qualche modo un altro viaggio, il potersi mescolare con la gente durante la ricerca, il piacere di fare domande più che ricevere risposte.
Poi c’è stata una lettura più profonda: una lettura che ha stimolato altrettante riflessioni, pensieri e desideri di approfondimento, attraverso le sue riflessioni e considerazioni sull’occidentalizzazione selvaggia dell’Asia, diventata un’ossessione per gli asiatici, nonché lo sconcerto per il fatto che tutti quei cambiamenti economici, culturali, politici e sociali dei paesi che visita, hanno purtroppo modificato questa area lasciandola senza più valori, ideali o sogni.
Mi sono immedesimata nei suoi conflitti interiori: il comunismo vissuto come l’antidoto al capitalismo occidentale che si rivela altrettanto fallimentare; il suo odio-amore per l’Asia, che ama ma di cui detesta la direzione che ha preso, cioè la prontezza con la quale gli asiatici hanno sacrificato tutta la loro parte più spirituale e un vivere più umano in nome di un progresso materiale poco sostenibile.
Interessante quando parla della transizione dalla spiritualità al materialismo:
Questi indovini sono stati eliminati in quanto nemici della modernità.
Eliminati fisicamente (come fece Mao) per liberare il popolo dalla superstizione.
Ma chi ha preso il loro posto?
Non credo la situazione in Asia sia cambiata in meglio. Possiamo dire che Terzani sia stato lui stesso un indovino!?
Commento del Bandito Birra:
Qualche settimana fa Daria Bignardi ha pubblicato “Libri che mi hanno rovinato la vita” dove il termine “rovinato” non va preso solo alla lettera, ma anche nella forma più estesa di “influenzato”, “indirizzato”. “Un indovino mi disse”, per me fa parte di questi libri. Letto durante la fase di cura da un disturbo d’ansia, mi ha chiarito con un esempio semplice ciò che avevo già iniziato a fare nella mia vita: rallentare. Terzani, un po’ per scommessa, decide di seguire l’ammonimento che nel 1976 gli aveva dato un indovino: nel 1993 non devi volare mai, ne potresti morire. Per tutto l’anno, quindi, continua i suoi spostamenti in Asia, ma evita aerei ed elicotteri, affidandosi a mezzi di trasporto più lenti: treno, nave, automobile, ecc. Questa decisione gli permette di rallentare decisamente il ritmo della sua vita e di osservare ciò che ha intorno a sé, che a causa dei ritmi frenetici prima non aveva potuto apprezzare. E si rende conto che la vita precedente non gli manca affatto. Osserva le persone, i loro comportamenti e si sofferma soprattutto sulla necessità degli uomini di conoscere il proprio futuro. In ogni luogo in cui si reca, cerca di incontrare almeno un indovino. Non che ci creda, ma alla fine si rende conto che ci sono molti tratti comuni e per alcuni aspetti anche logici nei metodi dei vari indovini che incontra.
Lo sguardo di Terzani è interessato, curioso ma quasi mai giudicante. E’ sospeso fra un passato che solo in parte rimpiange e la constatazione mesta che il presente di questi paesi è un’adesione acritica e inesorabile al modello di società occidentale e capitalista, che porta (o può portare) ricchezza economica ma che rende vuote le vite.
Commento della Bandita Golosa di Patatine:
Un indovino mi disse è il libro che cito quando con altri lettori si parla di occasioni in cui sono i libri che scelgono noi e non viceversa. Lo cito perché quando ho provato a leggerlo la prima volta non c’è stato feeling, mi aspettavo tutt’altro… non sapevo chi fosse Terzani e non sapevo che il libro non fosse un romanzo. L’ho riposto nella libreria e lì è rimasto a prendere polvere per anni. Poi mi è ricapitato tra le mani ed è stato amore puro. Ho scoperto la differenza tra turista e viaggiatore. Ho sottolineato frasi e frasi. Ho scoperto un mondo nuovo, descritto con un’analisi lucida e chiara.
Indimenticabile.
Rosso come una sposa di Anilda Ibrahimi
Commento della Bandita Sfogliatella:
Tre generazioni di donne si passano il testimone della vita e della morte nella storia di un paese, l’Albania, che si rivela ricco di cultura e poesia, colpevolmente ignorato, anche se a poca distanza dai nostri confini, identificato con superficialità come terra di occupazione coloniale prima e di emigrazione poi.
Di questo romanzo ho apprezzato soprattutto la prima parte che mi ha piacevolmente incuriosita, le descrizioni dei personaggi e lo sguardo ironico con il quale si presentano.
La bisnonna Meliha, che apre il sipario sulle vicende della famiglia Buronja, sta nel suo Tempo, come un cristallo nella roccia. E’ lei la fonte da cui scaturiscono le intricate storie delle figlie, è lei la custode delle tradizioni, accettate e tramandate, per cui la figura femminile, pur essendo perno e motore della famiglia, resta schiacciata dalla cultura maschilista. Le figlie sono merce di scambio e sono punite se non generano figli maschi, i quali, a loro volta, le renderanno “suocere”, ovvero custodi del gineceo delle nuore.
La nonna Saba, la figlia minore di Meliha, si rivelerà figura di transizione, resiliente (da bambina viene appesa a testa in giù per punizione, non si lamenta e rischia di morire) eppure determinata e coraggiosa: non “forza” mai gli eventi, ma li usa per fare da perno al cambiamento. Intorno a lei, le sue sorelle infelici, si bruciano le ali, quali farfalle accecate dal fuoco della propria follia.
Klementina, la nuora di Saba e madre della voce narrante, dovrebbe essere il personaggio più emancipato, figlia del regime comunista, ma il potere si rivela tirannico e spietato, soprattutto e ancora una volta, contro le donne relegate ad un ruolo subalterno.
La storia si chiude con Dora, la voce narrante, vittima a sua volta di una cultura globalizzata i cui disvalori sono dettati dalle mode effimere, ma sempre spietata contro le donne che tende a colpevolizzare per scelte personali giudicate contro la “morale” comune. La kurveria, l’essere donne “scostumate”, resta l’ultimo tabù da sconfiggere.
La conclusione sembrerebbe così che gli uomini appaiono figure marginali: inetti, inutili, vanesi, infingardi e assolutamente dannosi; le madri, sorelle, mogli e figlie sono costrette a porre rimedi, soccorrere o perire a causa della stupidità del genere maschile.
Commento della Bandita Teacher:
Questo romanzo ci dice di un secolo di Albania attraverso il racconto di una famiglia e di quattro generazioni. Un’Albania che ci sembra di conoscere perché, per certi versi, ci ricorda un’Italia di tanti anni fa. Un’Albania che, pur essendo fondata su un forte sistema matriarcale, ci presenta un panorama di figure femminili nessuna padrona di sé stessa, obbligate a ubbidire, in primis alla suocera.
Le donne non vedevano l’ora di invecchiare per acquisire il potere
che veniva dato loro dalla condizione di suocera
e poi a una società gretta che le sottomette e le obbliga a conformarsi a cliché quali dimostrare il proprio valore dando alla luce figli maschi e allo stesso tempo a stare bene attente a non diventare Kurve (poco di buono/ puttane). Ed è questa la dolorosa vita delle protagoniste della prima parte del romanzo, Meliha e Saba, destinate a sopportare e lottare tacitamente per essere accettata per poi, finalmente, diventare matriarche della famiglia.
Nella seconda parte, c’è un passaggio di consegne e Dora, la nipote di Saba, che diventa la testimone della famiglia. Tutto viene presentato dal suo punto di vista e ci racconta di un’altra Albania, quella sotto il comunismo e dei cambiamenti che questo apporta alla società.
Sorprendenti, ma non troppo, altre affinità con l’Italia, per esempio la visione comune della famiglia che avevano cattolici e comunisti.
Nel progetto del nostro uomo nuovo non erano previsti gli slanci di passione fuori dal matrimonio. Ripensando a queste cose oggi trovo una grande affinità tra la Chiesa Cattolica e il comunismo del mio paese. Ma il nostro comunismo era più feroce di qualunque papa conservatore la storia abbia mai conosciuto.
oppure il maschilismo della società:
Secondo loro era sua la colpa di quanto era successo: si sa che gli uomini ci provano tutti, è dovere delle donne dire di no.
Interessanti e pieni di spunti le parti che si riferiscono ai cambiamenti e alla cultura diffusa dal comunismo: l’interruzione dell’usanza borghese del vestito bianco per le spose, da cui il titolo; la distruzione e/o trasformazione dei luoghi di culto e la lotta contro le religioni, per l’affermazione di un’unica ideologia, quella comunista. Nonostante questo le religioni continuano a far parte dell’orizzonte culturale degli albanesi, infatti Dora racconta che la nonna Saba le raccontava delle storie per convincerla che musulmani, cristiani e ortodossi erano tutti la stessa cosa. Per noi può essere difficile anche solo immaginarlo ma evidentemente l’identificazione con una sola religione non fa parte della storia albanese in cui si parla di chiese, di moschee, di preti, di dervisci.
Sicuramente di grande impatto è come viene trattato il tema della morte, non tanto come dolore o perdita ma come opportunità per rinsaldare il legame che c’è tra il mondo dei vivi e quello dei morti: far loro visita, parlare e raccontare, far sì che siano ancora parte viva della nostra vita. Quando Meliha sente che è arrivata la sua fine e che non potrà più mantenere questo filo chiama Saba, la figlia, che accetta l’eredità e si fa portatrice di questa cultura. Il romanzo si conclude con un altro, seppur tacito, passaggio di consegne: Saba muore e Dora dà alla luce suo figlio. Un’immagine bellissima, della vita che si rinnova e che sento profondamente mia.
Commento del Bandito Birra:
E’ un sorriso indulgente sulla storia di una famiglia, raccontata dal punto di vista delle donne che ne hanno fatto parte, fino all’ultima, l’io narrante del romanzo. La storia si dipana “da suocera a suocera”, perché le suocere sono depositarie di un “potere”: il potere di far rispettare un sistema di regole profondamente maschilista. Si tratta di una società matricentrica più che matriarcale, in cui gli uomini sono “protetti” e di fatto hanno pochissime responsabilità. Lo sguardo però non è di condanna, ma è un po’ come se l’io narrante guardasse un album di foto della propria famiglia.